Questo e’ il mio papa’

Leggere, e prima ancora sfogliare, un libro di Evi Crotti e Alberto Magni significa fermarsi a prendere una boccata d’ossigeno. Significa fermarsi a riflettere su quali siano i binari che sta percorrendo la nostra vita familiare, su quali siano i rapporti che quotidianamente riusciamo a costruire con i nostri figli.

Conosco Evi e Alberto da molti anni, mi hanno messo disposizione più volte la loro collaborazione e la loro amicizia. Eppure, ogni volta che apro le pagine di un loro libro e comincio a esplorarne i disegni, lo faccio con trepidazione.
Sì, l’enorme e mai sufficientemente compresa utilità del loro lavoro, è proprio questa: mettere noi genitori di fronte alle nostre responsabilità e al possibile disagio che i nostri figli vivono. È come rimettersi, ogni volta, in discussione, per capire innanzi tutto se il modo concreto con cui cerchiamo di educare i figli sia adeguato. Adeguato a loro, principalmente, così come adeguato al progetto di vita che stiamo costruendo.
Non si può essere padri se non si è stati e si continua a essere figli, cioè anche noi bisognosi del sostegno di una mano paterna e autorevole. Autorità: la parola latina auctoritas deriva dalla radice del verbo augeo, che significa ‘far crescere’. E fa crescere chi, nell’esercitare il suo ruolo di padre, continua a fare l’esperienza di una appartenenza. L’oscuramento della figura paterna porta come conseguenza per il figlio la perdita della consapevolezza della propria origine. Oggi sul figlio (o, sempre in meno casi, sui figli) si proiettano immagini, attese, aspettative, progetti nostri. Oppure lo si lascia assolutamente libero, magari demandando a Nostra Signora Televisione di occuparsi di lui. L’esito è spesso deludente. Nel primo caso, la proiezione delle nostre aspettative viene vissuta dal figlio come una gabbia, uno schema a cui deve adeguarsi. E noi pretendiamo di vedere realizzato in lui ciò che a noi non è stato dato di vivere, oppure che faccia le nostre stesse scelte. Nel secondo caso, concorriamo a quella Chernobyl delle coscienze, a quel livellamento, a quell’anestesia dei desideri che purtroppo caratterizzano in molti casi le giovani generazioni.
Il figlio non è una ‘proprietà’, ti è dato, anzi donato, perché tu lo introduca alla realtà, alla vita, permettendogli di essere se stesso, facendogli scoprire ciò che conta davvero, e lasciandolo libero. Libertà non equivale ad anarchia. La libertà si coniuga con la responsabilità. Certo, come insegna questo libro, per educare, per essere padri, è necessario mettersi in gioco, non abdicare a un compito così decisivo. Che cosa possiamo lasciare di noi stessi di più bello e di più vero se non dei figli liberi, responsabili, capaci di coscienza critica, di distinguere il bene dal male e di guardare a ciò che di vero e di bello c’è nella vita? Un impero finanziario, un oro olimpico o un premio Nobel non valgono la grandezza di aver introdotto un giovane uomo o una giovane donna alla realtà e alla totalità della vita, aiutandoli a essere capaci di significato, ancorati a valori veri e non alle immagini effimere del mondo virtuale.
Certo, non si sfogliano le pagine di un libro di Evi Crotti e Alberto Magni, non ci si sofferma sui disegni dei bambini e dei ragazzi che ci ‘parlano’ così tanto e talvolta in modo così drammatico, rivelando in tanti casi abissi di sofferenza, di incomprensione senza provare comunque un po’ di sano rimorso. Coscienti che tra il dire e il fare, tra l’avvertire la grandezza del compito, e il metterlo in pratica, c’è sempre di mezzo il nostro limite. Il nostro tempo limitato e speso male, le nostre preoccupazioni di lavoro, le piccole e grandi difficoltà della vita.
Eppure loro, i nostri figli, sono lì ad aspettarci. Ci parlano anche con il loro silenzio. Ci chiedono di non abdicare al compito di genitori. Questo libro è un stimolo a ricordarcelo.

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Rubrica a cura di Evi Crotti su ilgiornale.it