Dittatori ieri e oggi. Raffronto tra potere maschile e femminile. Prefazione di Vittorio Feltri

Se solo si potesse, mi piacerebbe chiedere a Evi Crotti e Alberto Magni che cosa leggono nella scrittura e nella firma di Cincinnato, o di Furio Camillo, o di Quinto Fabio Massimo. Costoro, nei quali abbiamo incocciato sui manuali del liceo, sono stati dittatori, meglio “dictator”; ma in un’epoca, la Roma Repubblicana dal quinto al terzo secolo avanti Cristo, in cui questo termine non era sinonimo di tirannide, la sua funzione era virtuosa e la sua applicazione sorvegliata.
In realtà, pare che la dittatura sia una pratica con radici ancora più antiche, che Roma avrebbe copiato dalle vicine città della Lega Latina, e forse addirittura di origine sannita. Funzionava così: in momenti di particolare crisi militare o di ordine pubblico, i Consoli, in accordo con il Senato, consegnavano le chiavi del potere a un solo magistrato, che aveva licenza di usare tutti gli strumenti necessari a superare il momentaccio. Il “dictator” rimaneva in sella fino alla soluzione della crisi, e comunque non oltre sei mesi.
Roma aveva quindi fatto la pentola e anche il coperchio, tanto che l’usanza andò lentamente fuori moda mano a mano che il Senato acquisiva poteri e i magistrati moltiplicavano le loro funzioni, fino all’irruzione di Giulio Cesare, che interpretò la carica a modo suo e invece di risolvere una crisi ne innescò una così profonda da aprire la strada all’avvento dell’Impero.

Nella storia contemporanea il significato di questa figura è cambiato fin quasi a ribaltarsi, il dittatore di oggi è il tiranno, una figura sinistra mortifera e onnipotente, quasi sempre uno psicopatico. Ma fa parte del corso naturale della storia, che come la natura ha le sue aberrazioni. Per questo il libro che state per leggere è un documento prezioso, compilato con acume e minuzia da due esperti in una di quelle materie che, come la psicologia e il profiling investigativo, rappresentano un grande fastidio per questi personaggi. Essi, infatti, sono ossessionati dal potere e dal controllo, e tengono ben chiuso lo scrigno che custodisce le loro intenzioni e la loro personalità. Ma la scrittura, tanto quanto è una manifestazione razionale nei contenuti, è invece istintiva nel segno, ed è lì che chi scrive si trova sempre allo scoperto agli occhi di qualcuno che sa dove andare a guardare: provate a modificare la vostra grafia, ci riuscirete per poco tempo, e comunque un esperto vi beccherà.

D’altra parte, la grafologia è una disciplina non solo importante nei suoi aspetti professionali, clinici o procedurali, ma è anche un asset della cultura popolare: immersi in un mondo dominato dall’inganno e dall’apparenza, poggiando la penna sul foglio non possiamo che essere sinceri, lasciamo una specie di messaggio in bottiglia con una mappa, in linee e riccioli, della nostra personalità. Può sembrare spaventoso, ma altrettanto è intrigante. La scrittura, la firma, sono la traccia di pneumatico di dove la vita ci sta portando, a anche su quale macchina si sta viaggiando. E, addestrati alla diffidenza ma pur sempre animali sociali, coltiviamo un segreto piacere nel lasciare aperto un pertugio, un accesso allo scrigno della nostre verità più profonde, e proviamo un inconfessabile sollievo quando qualcuno lo trova e lo legge in nostra vece.

Ovviamente, tutto questo non vale per i dittatori, men che meno per quelli che troverete elencati nell’indice. L’analisi della personalità di un tiranno non si può fare finché il tiranno è nei paraggi, si finisce malissimo: troverete dunque in queste pagine i profili grafologici di 37 dittatori che hanno operato negli ultimi due secoli, resi inoffensivi dalla Storia o dalla morte, oppure ancora in forza ma abbastanza lontani da non farci temere la loro ira (Putin, Erodgan, Assad, Kim Jong Un). I due autori li hanno colti come nel sonno, nell’attimo in cui sono più fragili, arroganti e inconsapevoli, cioè quando appongono la loro firma. Per chi esercita un potere assoluto, ogni autografo in calce a un documento è una specie di trionfo, ma è anche un momento in cui emerge l’iceberg dell’inconscio: per quanto il segno sia breve, la firma corrisponde a un encefalogramma.
Ne risulta una via crucis di malattie mentali, ossessioni, deliri, personalità rettiliane così miserabili che vi chiederete come sia possibile che dei pazzi tanto pazzi possano prendere il potere e mantenerlo un tempo congruo a scatenare guerre, ammazzare persone a milionate, annichilire le menti. E qui il discorso si fa delicato. Perché questo libro offre l’occasione per accedere, se ne avrete voglia, a una lettura parallela, quella delle società che hanno consentito l’ascesa di questi personaggi e il mantenimento del loro potere; e quindi a qualche domanda su come siamo noi stessi, come comunità, come cittadini o, se preferite, sudditi.

Se il dittatore può essere analizzato solo a posteriori, vien da chiedersi perché l’umanità sembra non cogliere mai la lezione che loro malgrado queste persone ci impartiscono. Un filosofo e giurista francese, Étienne de La Boétie, intorno al 1550 diede una feroce risposta nel suo “Discorso sulla servitù volontaria”. Ne riporto un frammento: “Quel che avviene in tutti i Paesi, ogni giorno, fra tutti gli uomini, ossia che uno solo ne opprima centomila privandoli della libertà, chi potrebbe mai crederlo se ne sentisse soltanto parlare e non ne fosse testimone? Se accadesse soltanto in Paesi stranieri e in terre lontane, e ce lo venissero a raccontare, chi di noi non penserebbe che si tratta d’invenzione, di una trovata, e non della verità? Per di più, non c’è bisogno di combattere questo tiranno, né di toglierlo di mezzo; si sconfigge da solo, a patto che il popolo non acconsenta alla propria servitù. Non occorre sottrargli qualcosa, basta non dargli nulla… Sono dunque i popoli stessi che si lasciano incatenare, perché se smettessero di servire, sarebbero liberi. È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola da solo, che potendo scegliere tra servitù e libertà, rifiuta la sua indipendenza e si sottomette al giogo; che acconsente al proprio male, anzi lo persegue”. 

Tutto questo è molto inquietante. Così inquietante che il libro non si chiude con il solo disvelamento della natura dei dittatori. Forse per restituire una porzione di ottimismo dopo una scia così disperante di fabbricanti di disgrazie, nella coda del libro troverete una diversa carrellata di firme, dedicata a cinque donne di potere. Intelligenti più dei loro coinquilini in queste pagine, più efficaci, più preparate, senz’altro meno matte. Se c’è una speranza, ecco dove cercarla.

Vittorio Feltri

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Rubrica a cura di Evi Crotti su ilgiornale.it